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3 consigli per aumentare la resilienza

Essere resilienti nei periodi difficili non solo ci permette di reggere gli urti della vita, ma di uscirne ancora più forti di prima.


La parola “resilienza” nasce nell’ambito della tecnologia dei metalli, e, in sostanza, è la capacità di un materiale di resistere a un urto, assorbendo l’energia ed eventualmente rilasciandola dopo la deformazione.


Il significato della parola resilienza è quindi strettamente connesso al concetto di elasticità: all’idea di lasciar entrare, e talvolta persino inglobare, ciò che di dannoso ci arriva dall’esterno, permettendogli di modificarci senza danneggiarci e saperlo poi ributtare fuori sottoforma di energia. Ancora meglio se energia positiva e creativa. Talvolta reattiva.

Ma come si fa ad essere resilienti?

Sicuramente impararlo da bambini seguendo l’esempio o i consigli di genitori illuminati sarebbe l’ideale, ma la resilienza è un’abilità che si può sempre acquisire.

Vediamo come.


Diventare resilienti in 3 mosse

1. Accetta quel che è successo

E’ capitata una cosa brutta, ingiusta o qualcosa che non ti aspettavi o a cui non riesci a dare una spiegazione. Non riesci ad accettarlo e a fartene una ragione.


La resistenza alle emozioni fa male sia a livello psicologico che fisico. Il rischio è che le emozioni come la rabbia e il dolore, trattenute, implodano e portino a sintomi o modifiche del nostro umore anche importanti come ansia e depressione, minando il nostro stato di benessere generale.


Prova a dirti: “Ok. È successo e non me lo aspettavo proprio. E’ ingiusto, cattivo, illegale, non me lo merito. E’ terribilmente triste e non volevo che succedesse. E secondo me non doveva succedere. Non mi meritavo che quella persona mi trattasse così! Non volevo che mi succedesse questo. Ma è successo.”


Poi chiediti: E adesso cosa posso fare?”


2. Analizza le emozioni

 

Prova ora ad ascoltare cosa stai provando e cerca di dare un nome a quello che senti. E’ dolore? Rabbia? Delusione? Paura? Sconforto? Senso di sconfitta? Frustrazione?

Perché stai provando quelle emozioni? Da cosa sono mosse? Quali sono i tuoi bisogni che non trovano soddisfazione in questa situazione?


Anche per questa fase prenditi il tempo che ti serve per capire bene di che si tratta e da dove arriva.

Se da solo non riesci cerca amici o persone di cui ti fidi che ti vogliano davvero bene, che sappiano ascoltarti in maniera profonda, accogliente e non giudicante e che possano aiutarti a fare chiarezza.


Se guardandoti intorno non ne trovi, puoi chiedere una consulenza ad uno psicologo o psicoterapeuta o anche semplicemente un counsellor.

 

Se sei riuscito a fare questo dovresti essere maggiormente consapevole della situazione in cui ti trovi e pronto per trovare strategie resilienti.


Il che non significa che devi sempre modificarti per farti andare bene tutto, ma che devi ascoltarti per capire di cosa hai bisogno, cercare la soluzione che, data la situazione in cui ti trovi, come sei fatto, i tuoi bisogni, ti fa stare meglio.


3. Attiva reazioni positive

A questo punto, la domanda successiva è: “Cosa posso trarre di positivo da questa esperienza?” “Cosa ho imparato? O “Cosa devo imparare?” “Come posso trarne vantaggio?” “Quale può essere una reazione che mi fa stare bene?”


Tutto ciò che ci capita nella vita porta esperienza, se solo riusciamo a coglierla!  E se vogliamo aumentare la nostra resilienza dobbiamo allenarci a farlo!


La resilienza, in fondo, è proprio questo: ammortizzare gli urti della vita e girarli a nostro vantaggio.

 

L’intolleranza da Covid

Sarà che sono di approccio rogersiano e Carl Rogers credeva nell’unicità e nella ricchezza interiore di ogni persona (e io lavoro benissimo senza etichettare nessuno!).

Sarà che sono sempre stata “dall’altra parte”, quella che viene da fuori, quella sovrappeso, quella la cui vita “normale” era “esotica” per gli altri.

Ma l’essere “dall’altra parte” dello specchio se da un lato ti condanna alla solitudine, dall’altro ti permette di guardare le cose da una prospettiva speculare.

La solitudine ti insegna a pensare con la tua testa e la diversa prospettiva ti permette di cogliere ed apprezzare particolari che “agli altri” sfuggono, quelle particolari sfumature che rendono la vita e le persone un mix di colori unici.

Premesso tutto ciò, nella giornata internazionale della tolleranza, non posso fare a meno di notare una tendenza sempre più marcata al giudizio frettoloso.

Siamo tutti pronti ad incastrare chiunque in semplicistiche cornici o etichette in base a poche parole chiave. E se questo era un fenomeno già presente, l’arrivo del Covid l’ha incrementato in maniera considerevole.

Il Covid ci ha messo di fronte a situazioni, pensieri e stimoli nuovi che hanno creato in noi confusione e conflitti e risvegliato emozioni potenti.

Il tema della malattia tocca argomenti a cui non eravamo più abituati a pensare se non in maniera semplicistica o estremamente superficiale (a meno che non abbiamo avuto la sfortuna di una grave malattia che riguarda noi o qualcuno che amiamo).

Il dover ragionare, senza preavviso, sul senso e sulla qualità della vita, sulla morte e la sua naturalità, sul significato della libertà di pensiero e di scelta, suscita emozioni profonde come paura e rabbia con cui spesso non siamo a nostro agio e che talvolta non riusciamo a controllare o gestire. Ed ecco che a rincarare la dose arriva il senso di impotenza e l’inadeguatezza dei nostri strumenti emotivi e cognitivi per affrontare la situazione. E forse arriva anche il senso di solitudine.

L’utilizzo del potere da parte dello Stato, in maniera più o meno soft o manipolativa, ci mette di fronte all’idea che abbiamo della democrazia, delle priorità, della salute, all’idea che abbiamo della politica, dei politici e degli “esperti” (e delle loro talvolta scellerate e spero inconsapevoli dichiarazioni).

Il bisogno dei media italiani di fare notizia, purtroppo, contribuisce all’allagamento emotivo amplificando la paura e il senso di impotenza ed espandendo ulteriormente il contagio emotivo.

A causa di tutto questo (e di molto altro) proviamo emozioni ancestrali che se da una parte sono le più semplici da suscitare e su cui fare leva per ottenere facili risultati elettorali e di audience, alla lunga sono anche le più difficili da gestire e sicuramente le più dannose a livello psicologico, personale e sociale.

Il problema è che quando queste emozioni “negative” prendono il sopravvento le capacità cognitive vengono momentaneamente messe in secondo piano e gli esseri viventi attivano schemi semplici e veloci di risoluzione dei problemi: l’utilizzo del potere e delle modalità relazionali autoritarie.

Basta fare un salto sui social per notare il clima di intolleranza e di conflitto verso idee diverse dalle proprie, ci sono fazioni per ogni tipo di argomento e la probabilità di essere etichettati in maniera sbrigativa e semplicistica per il solo fatto di avere un’opinione che si discosta dalla massa è altissima.

Sentivo ieri l’intervista del Dott. Bassetti, il virologo di Genova, e al di là delle sue opinioni su cui si può concordare o no, mi ha colpito quando ha parlato di “pensiero unico imposto”, perché è davvero anche la mia percezione.

Leggo articoli e post in cui si sprecano le interpretazioni  psicologiche e in cui le persone che si permettono di ragionare sui dati che vengono forniti, o quelle che si basano sulle proprie esperienze di vita quotidiana o che vedono le cose da una prospettiva diversa da quelle dei mezzi di comunicazione di massa e dai bisogni della politica, sono diagnosticate come psicologicamente disfunzionali, resistenti, inconsapevoli, adolescenziali, negazionisti

Oggi è la giornata internazionale della Tolleranza e forse è ora che ognuno di noi faccia i conti con il fatto che la diversità, anche di pensiero, è ricchezza e tante volte viene percepita come pericolo perché rischia di cambiare qualcosa di noi.

Se io accetto anche solo qualcosa del tuo punto di vista, che è diverso dal mio, io cambio un po’ e questo è un rischio, una perdita di equilibrio che spesso non vogliamo, soprattutto quando siamo già in una situazione di incertezza.

Forse non è il momento giusto per cominciare a cambiare le cose fuori e dentro di noi, ma forse è anche vero che se restiamo ancorati alle nostre talvolta insoddisfacenti sicurezze non cambieremo mai nulla, né dentro, né fuori.

 

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