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Il bello del Coronavirus

Mia nonna abitava a Genova e la finestra di casa sua si affacciava sulle finestre e sui cortili di altre case. Quando andavo a trovarla, mi sedevo accanto a lei alla finestra della cucina e mi aggiornava sulle novità di ogni famiglia. Di fronte, al secondo piano, abitava “la signora mezze maniche” da noi così soprannominata perché estate ed inverno faceva sempre e solo i lavori di casa e soprattutto con maglie dalle maniche corte.  Al piano di sotto abitava un amico di nonna con la moglie e nel palazzone di sinistra c’erano davvero tante luci, tante vite e tante storie da osservare e raccontarci.

”Vedi” – mi diceva – “ lì qualcuno deve essere malato..la signora stende sempre delle camicie da notte e cambia spesso le lenzuola..eppoi sembra davvero stanca..”. E in queste storie di persone raccontate con tanto buon senso era chiaro che la vita e la morte, la gioia e il dolore erano parte naturale della nostra esistenza.

Del “fenomeno coronavirus” mi colpisce la paura che vedo nella gente, come se all’improvviso scoprissimo che siamo esseri mortali e che lo siamo dal momento che si crea la nostra prima cellula.

L’odierna cultura occidentale e il nostro stile di vita, troppo spesso egoistico e superficiale, aveva permesso a molti di noi di crogiolarsi nell’illusione che per malattia, guerre, torture muoiono solo gli altri, ma tanto loro sono diversi, sono lontani, il loro dolore è diverso… ed avevamo sempre una giustificazione che ci confortava. E lo facciamo ancora! L’età media dei decessi di coronavirus è 81 anni? Si ma erano malati, stavano già male, e quello giovane? Ah beh, si è trascurato!

Abbiamo sempre una nuova giustificazione per tenere in piedi la menzogna che ci rassicura: noi siamo invulnerabili.

Poi succede che ci ammaliamo o che qualcuno che conosciamo di persona o anche solo televisivamente si ammala e tutto ad un tratto non troviamo più scuse che reggano e tocca affrontare la realtà: noi e le persone che amiamo possiamo morire in qualunque momento per qualunque cosa e non abbiamo alcun controllo su questo.

Se da una parte questa consapevolezza può terrorizzare, dall’altra è un’ottima opportunità di crescita e il fatto che le librerie siano piene di testi scritti da persone malate che cercano di fare aprire gli occhi anche a noi attraverso la loro esperienza, non è un caso.

La crescita personale passa attraverso il dolore e la consapevolezza della realtà e davvero credo che da questo momento di pausa potremmo trarre grandi benefici e momenti di evoluzione individuale e culturale. Se solo lo vogliamo.

La riduzione della vita sociale e “mondana” ci costringe a stare di fronte a noi stessi, alle nostre coppie e famiglie e non possiamo più scappare dalla realtà: siamo e sono come/dove vorremmo?

In questi giorni tra tv, social e il semplice parlare quotidiano con le persone, non posso fare a meno di notare genitori che invece di godersi questo maggior tempo a disposizione per entrare in relazione coi figli ne sono esasperati, coppie che sono messe di fronte ai loro silenzi ed al fatto che hanno perso il contatto tra di loro, giovani che senza il gruppo con cui passare le serate percepiscono  con il loro profondo senso di noia e solitudine, persone che se non si anestetizzano con la palestra quotidiana precipitano nella tristezza.

E fin qui tutto bene. Rientra nella nostra umanità.

Quello che non va bene è sprecare le occasioni di cambiamento che la vita ci propone, quando ci mostra ciò che non avremmo mai voluto vedere e ci fa uscire dalla nostra confort-zone.

 

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